La prevenzione come categoria pedagogica
L. Santelli Beccegato – Università di Bari ‘Aldo Moro’
Presidente R.E.S.S.
Intervento al Congresso di Bari del 28. 11. 2013
Come premessa vorrei subito precisare che nei confronti della prevenzione, la pedagogia ha idee chiare e proposte precise.
E' sul versante operativo che le cose si fanno difficili, non tanto per l'incertezza sul da farsi, ma sulla scarsità di risorse umane e finanziarie che si riesce a mettere in campo.
Il termine prevenzione, come sappiamo, ha un duplice significato: prevenire come arrivare prima, anticipare e prevenire come impedire, evitare.
In questi due significati si sintetizza l'idea stessa di educazione nei suoi aspetti propositivi: fare/intraprendere qualcosa in vista del raggiungimento di finalità, e nei suoi significati di contenimento per cercare di evitare esperienze potenzialmente dannose.
Come si sviluppa la dimensione della prevenzione nelle ricerche e nell'azione educativa? Si sviluppa soprattutto nella predisposizione di un contesto, di un ambiente, di reti relazionali che consentano di vivere esperienze costruttive, gratificanti, emancipative, che concorrano a costruire in ogni singola persona atteggiamenti di responsabilità, di impegno, di dignità, di fiducia in se stessi.
La pedagogia quindi, con le sue iniziative, ha elaborato ed elabora proposte per tracciare e promuovere esperienze, creare spazi e condizioni positivamente connotati cercando di contrastare condizioni di disagio, di rischio, di vero e proprio pericolo e porre così le basi di un modo costruttivo e responsabile di vivere la propria esistenza.
Prevenire è anche, come già richiamato, cercare di evitare o, quanto meno, di limitare significativamente le possibilità di scontro, le occasioni di conflitto, di prevaricazione, i molteplici processi negativi che serpeggiano nelle dinamiche sociali.
Da qui gli alti livelli di attenzione, di capacità di lettura e interpretazione del proprio tempo che sempre devono contrassegnare un'attività che intenda qualificarsi come educativa.
Possiamo dire che la prevenzione in pedagogia e in educazione si configura a un tempo come impostazione metodologica, impegnata a far leva su aspetti promozionali, di incoraggiamento, di orientamento e di aiuto, e come finalità cercando di comprendere in anticipo l'insorgere di problemi e favorire così lo sviluppo di dinamiche per quanto possibile serene e rassicuranti.
Scelte e impegni pedagogico-educativi che sono sostenuti anche dalla semplice osservazione di come i tentativi di rimediare a danni già avvenuti, sui piani cognitivi, relazionali, affettivi, morali, fisici..., siano molto più complessi, ardui, dispendiosi e i risultati positivi conseguibili spesso deboli e insufficienti, se non addirittura fallimentari.
Per entrare più direttamente nel merito della questione possiamo distinguere tra prevenzione primaria, secondaria e terziaria.
La prevenzione primaria è quella che riguarda iniziative e proposte che riguardano tutti i soggetti in generale per consentire la fruizione di esperienze positive.
Quella secondaria è rivolta a chi presenta carenze o problemi conseguenti a pregresse situazioni negative, a difficoltà famigliari, scolastiche, sociali, ai cosiddetti 'soggetti a rischio'.
Al terzo livello si cerca di contenere le complicanze derivanti da reiterate esperienze negative, ormai purtroppo avvenute, per aiutare a rielaborare una propria positiva identità. In questo caso la pedagogia difficilmente può sperare di ottenere risultati positivi se non si pone in stretta collaborazione con altre discipline - psicologiche e sociali - che si interessano del problema. La pedagogia è un ambito strutturalmente interdisciplinare e in questo caso si evidenzia con maggior forza e chiarezza la necessità di un concorso di risorse e competenze.
Spesso filosofia e pedagogia utilizzano metafore provenienti dal mondo della natura: "giardino d'infanzia" è l'indicazione di F. Froebel, "il legno storto dell'umanità " è una famosa espressione di I. Kant. Il legno ormai cresciuto e invecchiato non si riesce più a raddrizzare. E' il legno verde che puoi cercare di orientare. Con tutte le ambiguità che possono conseguire dall'uso di un linguaggio metaforico è comunque il significato di prevenzione come anticipazione di problemi, investimento tempestivo su capacità e risorse individuali e sociali, riduzione della sofferenza che si intreccia fortemente con quello di educazione: nel cercare di impostare per tempo e realizzare validi percorsi educativi, l'azione preventiva si configura di conseguenza e, reciprocamente, fare prevenzione comporta procedere con esperienze formative. Perseguire l'una significa attivare l'altra.
In questo senso l'idea di prevenzione è direttamente connessa con quella di precocità. Da qui l'attenzione rivolta in particolare ai giovani: dai Club de prévention - promossi in Francia fin dalla seconda metà del '900 - ai Servicios de protecion de la infancia, ancora attivi in Spagna, ai diversi progetti associativi presenti nei diversi Paesi.
Ma questa interpretazione richiede oggi - a mio avviso - di essere rivista e ripresa in una prospettiva che si estende su tutto il corso della vita: dall'infanzia alla giovinezza, all'età matura, alla vecchiaia. Ogni età oggi si apre su problemi formativi per una sollecitazione incessante di messaggi, per l'erosione continua di quelle che sembravano certezze raggiunte. Oggi per certi aspetti siamo tutti 'soggetti a rischio' per la complessità crescente della società in cui viviamo, per l'incalzare dei problemi e la difficoltà di trovare risposte adeguate. Viviamo in mezzo a grandi tensioni e contraddizioni, in un tempo segnato da ambiguità, incertezze, mistificazioni, contrassegnato da spinte pericolose e irrazionali.
Da qui la necessità di estendere il concetto di educazione preventiva e approfondire sempre più significati che si con figurino come punti fermi, stelle polari nella nostra esistenza. L'educazione alla nonviolenza è certamente tra queste anche se bisogna intendersi su cosa si voglia dire con quest'espressione.
E' necessario capire e far capire come il contrario di violenza non sia dolcezza, buonismo come alcuni sostengono. Il contrario di violenza è pensiero, è capacità di ragionare e di comunicare.
Da qui una prima conseguenza: l'educazione preventiva si fa investendo sul piano culturale, sulla conoscenza non come semplice informazione ma come esercizio di ragionamento, di intelligenza e soprattutto di comprensione nella consapevolezza che il piano cognitivo si intreccia profondamente con quello emozionale e affettivo.
La cura del mondo affettivo, da avviare fin dai primi istanti di vita, è essenziale per il nostro e per l'altrui benessere.
La ricerca pedagogica continua ad approfondire queste tematiche anche se bisogna riconoscere i limiti in cui una pedagogia e un'educazione tradizionale sono incorse e purtroppo a volte ancora incorrono. Limiti che cercherò di richiamare molto sinteticamente.
Il primo: è un discorso e un’attenzione rivolta all’altro. E’ necessaria una revisione che punti invece l’attenzione innanzitutto su se stessi per riconoscere e capire le proprie insufficienze e cercare di porvi riparo. Quando mancano testimonianze dirette, quando non sono riconoscibili veri educatori tutto il resto del discorso rischia di franare.
Il secondo limite di una pedagogia tradizionale è, per certi aspetti, connesso al precedente: la pedagogia è una riflessione e una proposta che punta prevalentemente sulla parola più che sull'azione. E’ un’educazione più detta che agita, più teorica (e purtroppo spesso retorica) che operativa, fattuale.
Il terzo limite è riconoscibile nella preoccupazione del risultato immediato a svantaggio di un atteggiamento paziente di un impegno nel e per il lungo periodo (l'educazione è tutt'altro che un processo veloce).
Se vogliamo prevenire la violenza dobbiamo agire cercando di superare questi limiti e di promuovere e vivere relazioni positive.
Dobbiamo anche riconoscere e tener presente come molte siano le forme di violenza: da quelle evidenti e brutali di tipo fisico, alla violenza altrettanto brutale di tipo economico, alle forme subdole della violenza psicologica e culturale.
E molti sono i luoghi della violenza, privati e pubblici, reali e virtuali (attenzione alla violenza nella rete) istituzionali e personali, dalla scuola agli ambienti di lavoro, alla famiglia.
Ed è senza dubbio questa, la violenza nell'ambito famigliare, la più devastante.
Si annida là dove ognuno di noi – per codici legati all’origine della specie, per istinto di sopravvivenza – ritiene di trovare rifugio, cura, protezione, avviamento alla vita sociale e personale.
Quando tutto questo si incrina , o addirittura crolla, che fare, come possiamo reagire?
Problemi gravissimi la cui soluzione è sempre a rischio rimanendo segni molto profondi nell’animo di chi ha subito violenza.
La pedagogia si è interrogata e si interroga sulle diverse forme di violenza in famiglia dove i rapporti non solo tra genitori e figli ma nelle diverse reti famigliari lanciano messaggi di egoismi, prevaricazioni psicologiche, manipolazioni e plagi. Dal permissivismo (teorizzato negli anni ’60) all’anaffettività manifesta o celata c’è purtroppo un’ampia rassegna di errori, comportamenti sbagliati motivati, a volte, da un amore verso i famigliari più dichiarato che effettivamente vissuto o comunque vissuto in maniera sbagliata.
La ricerca pedagogica ha fatto del tema della famiglia, della formazione dei genitori uno dei suoi ambiti privilegiati di ricerca nella prospettiva appunto di prevenire comportamenti negativi, consapevole che il tentativo di recuperare un danno realizzato è molto più esposto al fallimento rispetto al perseguire un possibile itinerario di sviluppo.
La pedagogia valorizza la persona, la sostiene e cerca di concorrere allo sviluppo e al miglioramento di ciascuno di noi. La pedagogia si impegna in questa direzione lavorando con la persona, mai su la persona. Il cammino è lungo. L’esito incerto. L’importante però è mantenere la rotta.
Se l’educazione famigliare, questo grande capitolo della ricerca pedagogica, è portato avanti fin dagli albori di quest’ambito disciplinare - dagli autori della classicità ai contemporanei - possiamo dire che il problema, dopo secoli di riflessione, sia stato adeguatamente affrontato? non presenti più zone di oscurità?
La risposta credo sia purtroppo negativa anche perché i continui cambiamenti in corso richiedono un costante rinnovo delle letture interpretative e progettuali.
Molte sono ancora le cose da fare, i miglioramenti da introdurre sul piano operativo, le chiarificazioni da apportare a livello psicologico e sociale, le iniziative da intraprendere sul versante della formazione nella prospettiva di un lavoro di prevenzione che possa consentire di ridurre (non oso dire eliminare) gli errori e i fallimenti della vita in comune .
Di particolare interesse sono alcuni recenti studi sui livelli molto bassi di empatia come predittori di comportamenti inadeguati e violenti: l'incapacità di avvertire nell'altro la sua dimensione umana, il suo valore e la sua dignità chiudono ogni possibilità di connessione positiva e di rispetto e lo riducono a cosa da prevaricare e da utilizzare e, alla fine, da distruggere. E, distruggendo l'altro, si dovrebbe riuscire a comprendere che alla fine si distrugge se stessi.
Lavorare sul lato oscuro delle emozioni, fin dalle prime età della vita, è di particolare importanza per cercare di non essere travolti, nel corso dei diversi avvenimenti, da forze che non riusciamo né a riconoscere, né tanto meno a controllare.
L’unica prospettiva è continuare ad approfondire lo studio delle dinamiche in corso e impegnarsi a progettare/elaborare nuove esperienze per tracciare e sostenere costruttive modalità di convivenza.
Non come singoli studiosi, ma come gruppi di ricerca a livello nazionale e internazionale.
Due linee di sviluppo sono particolarmente importanti nella ricerca pedagogica contemporanea.
- la prima è relativa a modalità e stili di comunicazione intesa non solo come capacità di parola, ma come capacità di ascolto. E bisogna analizzare molto proprio quest'ultimo aspetto;
- la seconda riguarda il lavoro cooperativo, il riuscire a fare rete. Nel novembre 2013 si è tenuto a Ginevra un interessante convegno sulle ‘buone pratiche’ relative alla prevenzione che sono in corso sia in Svizzera, sia in diversi Paesi europei. Il lavorare insieme, il riuscire a stabilire alleanze, a fare rete tra associazioni, famiglie, scuola, enti locali è la strategia vincente. Il singolo intervento anche se brillante è destinato a non lasciare traccia.
Dobbiamo sentirci tutti impegnati, non solo nelle istituzioni deputate ma in ogni momento della nostra vita, a concorrere a trovare le risposte ai bisogni primari del soggetto, ad attivare relazioni interpersonali rassicuranti, a combattere ogni forma di violenza, sia essa psicologica, economica, dichiaratamente fisica.
E a farlo con i mezzi propri della cultura e della formazione analizzando, discutendo insieme – genitori, insegnanti, educatori, rappresentanti degli enti locali, delle associazioni, del terzo settore, del volontariato…- per riconoscere e valorizzare le modalità più efficaci e armoniche da portare avanti nella nostra vita in comune.
Incontri dove università, scuole, associazioni, rappresentanti disciplinari di diversa provenienza riflettono insieme, è rappresentativo di un modo che ritengo particolarmente utile per affrontare questioni così importanti e complesse.
Soprattutto oggi con la crisi in atto e il sistema di promozione sociale sempre più in difficoltà, con le politiche di comunità progressivamente indebolite, bisogna saper costruire una rete solida e il più possibile allargata di relazioni e di supporti.
E' questa connessione che può aiutare a interrompere circuiti di sofferenza e di violenza e riuscire a costruire regole di reciproco rispetto e di civile convivenza.
Sostenere la dimensione cognitiva, sociale, emozionale, etica e cioè il senso di empatia che ciascuno di noi - avendo le adeguate sollecitazioni - quotidianamente può affinare è il grande compito di un'azione pedagogica ed educativa e il modo per contrastare processi involutivi, di chiusura e di violenza estremamente pericolosi per la sopravvivenza del singolo e per la stessa convivenza sociale.
Consentitemi di chiudere con una citazione di un autore che amo molto e di cui quest'anno ricorre il centenario della nascita: A. Camus. A. Camus nel suo discorso in occasione del premio Nobel ricevuto nel 1957 ha detto : "Ogni generazione si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è forse più grande: consiste nell'impedire che il mondo si distrugga" (A. Camus, 1969).
La sensibilità verso un'educazione preventiva ci aiuta ad assolvere questo compito.